Ana Paula Rodrigues Gama, 46 anni, da 3 anni è costretta a vivere per strada con le sue due figlie, Gabriela e Tainá, rispettivamente di 8 e 6 anni. Nonostante il dramma personale, la donna cerca sempre di trovare il modo di affrontare la vita con forza e positività, senza mai arrendersi. Così ha fatto diventare il marciapiede di Avenida Graça Aranha, nel centro di Rio, una casa per le sue figlie. Lo spazio, di circa 4mq, ha come tetto un telo di plastica, un letto fatto di pezzi di cartone, tre piumoni e delle coperte.
“Così le mie ragazze stanno al caldo” – ha raccontato Ana, che spazza il marciapiede più volte al giorno, raccogliendo la spazzatura e depositandola in un bidone: “Se non lo fai, arriva il vento e manda tutto in casa. Mi piace che per loro sia tutto molto pulito”. Ana Paula in pratica ha la sua abitazione a Pavão-Pavãozinho, Copacabana, ma con carenze evidenti perché le mancano: porte e finestre, impianti idraulici, docce. Inoltre deve provvedere spesso a proteggere l’abitazione dall’acqua del fosso adiacente e dalla costante invasione dai ratti.
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La donna è costretta a vivere consapevole dei tanti pericoli: “Se c’è una sparatoria, non posso proteggere le mie figlie. Non posso stare a casa così”. La routine familiare delle tre inizia alle 7 del mattino, le sue figlie si svegliano per andare alla scuola comunale di Lagoa. La donna ha detto che pretende che le sue ragazze facciano due bagni al giorno, senza eccezioni. Al mattino, nel garage di un edificio vicino, Ana riempie un secchio d’acqua per lavarsi viso e denti. Nel pomeriggio fanno tutte una doccia in un rifugio comunale del Centro, dove di solito si fermano anche a pranzo. Durante il fine settimana, la famiglia va in spiaggia oppure frequenta l’Aterro do Flamengo per rotolare nell’erba. A volte vanno anche alla stazione di Praça XV per vedere le barche.
La storia di una madre costretta a vivere per strada con le sue figlie di 8 e 6 anni
Parlando di come vivono questa esperienza estrema le sue figlie, Ana ha detto: “Pensano che tutto sia un gioco, anche dormire per strada, in tenda. È meglio così”. Una volta si sono ritrovate a dover ricostruire il rifugio, perché gli agenti municipali avevano raccolto le poche cose possedute da lei e dalle figlie. Per fortuna la donna costretta a vivere per strada, che è molto conosciuta dalla popolazione locale, ha ricevuto delle donazioni per sostituire quasi tutto, ad eccezione dell’uniforme delle figlie.
Dopo quella disavventura, la donna costretta a vivere per strada con le sue due figlie quando si allontana dal rifugio conta sulla buona volontà di un portiere di un edificio vicino per custodire le sue cose più importanti in una piccola scatola. La donna si è presa cura di sua madre fino alla sua morte di cancro 10 anni fa, e ha persino gestito un piccolo stabilimento nella favela, che ha perso a causa del suo ex compagno.
“Alcuni fratelli vivono nella comunità, ma hanno le loro figlie da mantenere” – ha raccontato Ana, che ha altri tre figli grandi indipendenti. Gabriela e Taina non sono figlie dello stesso padre: la prima è la figlia di un fattorino del ghiaccio, che aiuta con 50 R$ quando può, e la seconda è la figlia di un guardiano di banca, che non ha mai contribuito al mantenimento. Per sfamare le sue figlie, Ana ha lavorato come baby-sitter e dipendente in ristoranti e saloni di bellezza. Purtroppo è stato sempre più difficile trovare un lavoro, soprattutto durante la pandemia.
“Ho finito per perdere quasi tutti i denti, quindi è complicato essere assunta”, ha precisato Ana che si mantiene come può, vendendo acqua e paçoca e ricevendo donazioni. Una chiesa le ha donato 300 mattoni per lavorare alla sua casa. “Voglio solo questo: materiale da costruzione. Viviamo bene, ma la strada non è un buon posto per far crescere dei bambini. Lo so” – ha confessato la donna costretta a vivere per strada con le figlie.