Lo sapevate che molto di quello che ci succede nell’infanzia può avere delle ripercussioni nel nostro futuro e nelle nostre relazioni interpersonali?
Una nuova ricerca dimostra come le esperienze non positive vissute durante il periodo infantile, possano essere associate ai livelli di empatia sviluppati in età adulta.
Lo studio, pubblicato su PLOS One, indica infatti come le persone che abbiano vissuto queste esperienze, una volta adulti, diventino maggiormente capaci di rispondere agli stati emotivi degli altri.
“La mia esperienza di lavoro clinico come psicoterapeuta con piccoli e adulti hanno ispirato questa mia ricerca”, ha detto David M. Greenberg, autore dello studio dell’Università di Cambridge e della City University di New York.
I ricercatori di questo studio hanno intervistato 387 adulti, tramite l’Amazon Mechanical Turk, facendo riferimento alla loro storia infantile e ai loro livelli di empatia.
Questi hanno anche intervistato altri 442 adulti, utilizzando un’altro diverso metro di misura.
In entrambi i sondaggi, gli adulti che avevano riportato di aver vissuto un evento non piacevole durante l’infanzia, tendevano ad avere livelli più elevati di empatia.
Tra questi eventi possiamo includere la perdita di un amico o di un familiare molto vicino, il divorzio o vari conflitti tra genitori, esperienze non piacevoli come l’essere stati vittime di comportamenti aggressivi o dispotici.
“I lettori di questo studio devono sapere che vi sono percorsi specifici che si possono intraprendere per la propria crescita personale e per la propria capacità di recupero, dopo aver attraversato delle esperienze non positive come queste”, ha detto Greenberg a PsyPost.
Un turbamento infantile e’ risultato essere correlato quindi a livelli elevati dell’ empatia affettiva.
Ma non a quelli dell’empatia cognitiva.
Qual è la differenza?
“L’empatia cognitiva (anche chiamata” mentalizzazione “) è la capacità di comprendere i pensieri e i sentimenti altrui, mentre l’empatia affettiva è l’abilità di condividere o “simulare” dentro di sè lo stato d’animo altrui”, ha spiegato l’autore di questo studio.
Possiamo dire, sulla base di quanto rilevato, che queste persone sono in grado, oltre che ascoltare se stesse, anche di ascoltare l’altro, poichè sentono come fossero proprie le emozioni altrui.
Queste persone, percependo maggiormente le emozioni altrui, in modo del tutto naturale, risultano essere oltre che empatiche, anche tolleranti, comunicativi e benevoli nei confronti degli altri.
Questa loro maggiore sensibilità non può far altro che portarle ad assorbire e a farsi condizionare da questi sentimenti esterni.
Se una persona empatica sta a stretto contatto con gente che si lamenta costantemente, non potrà che assumere lo stesso stato d’animo, dunque.
Stesso discorso va fatto per le persone che invece tendono ad essere sempre positive: averle accanto non può che essere una fortuna.
Essere empatici è quindi come avere un dono. Un dono che abbiamo visto poter avere radici lontane.
“Questo studio si è basato su dati personali e retrospettivi.
Gli studi futuri invece utilizzeranno un approccio longitudinale “, ha affermato Greenberg.