Anche se viviamo in una società che, da una parte tenta di esorcizzare il dolore come condizione dell’esistenza, e dall’altra lo esibisce per fini commerciali o propagandistici, questo aspetto non può essere cancellato dalla vita di ognuno di noi.
Senza addentrarci in dispute filosofiche sull’origine del dolore, è importante conoscere come alcune culture vi si rapportino, imparando a valorizzarlo come momento di crescita e di evoluzione.
Magnifica, a questo proposito, la frase di Haim Baharier, studioso e psicologo di origine ebraica, autore di una saggio sulla claudicanza, quando scrive: “Le cicatrici sono la facoltà umana di rigenerarsi.”
Anzichè nasconderle, occultarle come fossero una vergogna, occorre imparare ad amarle, guarirle ed apprendere da esse.
Il kintsugi è proprio questo, l’antica arte giapponese di riparare gli oggetti in ceramica, con resina e oro donando loro qualcosa di ancora più prezioso.
Un’arte che risale al 15° secolo, e che si è tramandata di generazione in generazione assumendo col tempo un valore anche terapeutico.
Perché, in fondo, attraverso questo processo di riparazione, il kintsugi ci insegna alcuni valori che dovremmo sempre tenere a mente:
1- Accettazione del cambiamento:
vissuto sia di fronte alle novità inaspettate e positive, ma anche quando qualcosa sembra interrompere, o rompere addirittura equilibri e situazioni che si pensavano consolidate.
2- Non gettare quello che si rompe:
siamo ormai immersi in una società “ usa e getta”, che ha smarrito l’autenticità dei rapporti e del valore. Recuperare una maggiore sensibilità è atto doveroso sia per se stessi, che per il mondo in generale.
3- Imparare a riparare:
è strettamente collegato al punto precedente, ed insegna a fare tesoro sia delle cose che, soprattutto, delle esperienze che viviamo.
Obbligando ognuno di noi a fare tesoro innanzitutto di quello che è andato storto, ed ha causato dolore e sofferenza.
4- Non nascondere le cicatrici e la storia personale:
per un attimo occorrerebbe chiudere giornali, televisioni e tutto quello che veicola l’immagine della perfezione e la celebrazione della bellezza fine a se stessa, e comprendere che non vi è nulla di più bello dell’orgoglio e della dignità di mostrare anche ciò che è imperfetto, claudicante come direbbe qualcuno.
Ernest Hemingway diceva:
“La vita ci spezza tutti. Solo alcuni diventano più forti nei punti in cui si sono spezzati.”
Non solo forti, ma anche più consapevoli, maturi.
Imparare sulla propria persona l’arte del kintsugi, è apprendere dal vivo la lezione della resilienza, ovvero la capacità di affrontare e fronteggiare le difficoltà della vita senza farsi travolgere da esse.
Un cambiamento di mentalità che non rinuncia all’obiettivo, ma insegna a vederlo e viverlo con occhi diversi, accantonando quell’idea di perfezione che appaga le copertine, ma sminuisce il vero valore dell’essere umano.
Riparare i cocci con oro e argento significa valorizzare la rottura, dare a questo termine un significato creativo e non di annullamento.
Troppo spesso tendiamo a dimenticare e a buttare, come se la novità consistesse nell’oblio della memoria.
Ma senza di essa siamo vuoti, siamo frammenti senza direzione, quella che l’antica sapienza del Kinstugi invece vuole ricordarci quotidianamente.