Il caso esploso attorno alla protesta messa in atto dalla squadra norvegese di beach volley ha trovato nella cantante Pink un’accanita sostenitrice della loro causa. La notizia relativa al rifiuto da parte della squadra norvegese di beach volley di indossare il bikini nel corso di una partita è rimbalzata ovunque in rete. Dopo il rifiuto di indossare il bikini, considerato umiliante e poco pratico, le giocatrici sono scese in spiaggia sfoggiando un paio di shorts sportivi più adatti alle loro esigenze, una decisione che ha spinto la Federazione Internazionale di Volleyball a minacciare la squadra dichiarando che l’avrebbe multata.
Anche se la normativa sull’abbigliamento non trova alcuna spiegazione sportiva, si conferma l’obbligatorietà ad indossare il bikini. La multa potrebbe costare 50 euro a giocatrice, ma non solo la Federazione norvegese di Volleyball ma anche Pink si sono offerti di pagare la presunta multa.
La cantante ha offerto il proprio sostegno e solidarietà femminile scrivendo un messaggio su Twitter, e con grande convinzione ha ribattuto che la Federazione internazionale di Volleyball sarebbe stata dovuta multare per sessismo. Inoltre, Pink in un chiaro segno di sorellanza ha assicurato che avrebbe pagato volentieri tutte le multe della squadra norvegese di beach volley a patto che potessero indossare l’abbigliamento più consono.
Il team tramite il proprio canale ufficiale Instagram ha ringraziato per il supporto ricevuto, dicendosi felice che questo argomento sia finalmente divenuto un tema di conversazione nel mondo. La federazione del Paese scandinavo ha presentato una mozione per modificare le attuali regole sull’abbigliamento femminile chiedendo che sia un’opzione quella di indossare un bikini, non un obbligo.
Per confermare il sostegno alla squadra norvegese di volley femminile Kare Geir Lio, presidente della Federazione norvegese di Volleyball ha dichiarato: “Naturalmente pagheremo qualsiasi tipo di multa. Siamo tutti sulla stessa barca. La cosa più importante è avere un equipaggiamento con cui gli atleti si sentano a proprio agio […] dovrebbe essere una libera scelta all’interno di un quadro definito”.