Parliamo di psicosomatica quando sono presenti alcuni disturbi fisici che non hanno una causa organica, ma esprimono invece un disagio psicologo.
Partiamo con una premessa, indispensabile.
Questo articolo non ha l’obiettivo di contestare qualcosa, nè vuole sminuire il dolore complessivo della malattia.
Vuole solo essere una sintesi di alcuni spunti, antichi, risalenti addirittura alla Bibbia del Vecchio Testamento ed alle culture che si sono tramandate nei secoli immutate e sempre attuali.
Quante volte è capitato che, a seguito della visita dal proprio medico, una gastrite particolarmente intensa non abbia una causa specifica, se non un periodo di forte stress alle spalle?
O che, dopo una settimana di riunioni, incontri delicati, si finisca per avere un persistente mal di testa?
E, magari, anche il medico dice ” è psicosomatico” non intravedendo altre cause particolari.
Quali sarebbero quindi queste cause particolari? E come spiegare quello che in termini scientifici viene chiamato ” effetto placebo” ?
Cioè quando la somministrazione di una sostanza priva di principi attivi specifici porta risultati inaspettati?
Anche la medicina che definiamo ” classica” e fondamentalmente solo razionale, di fronte a certi episodi alza le mani.
Se ci troviamo in macchina, e si accende una spia, quando ci fermiamo dal primo meccanico questi sostituisce la spia che rimane accesa o, piuttosto, cerca di capire per quale motivo ha iniziato a lampeggiare?
Non vogliamo essere banali, ma la relazione esistente tra malattia, coscienza e mente, è perfettamente uguale all’esempio che abbiamo portato.
Occorre allora provare ad uscire da una mentalità prettamente meccanica, materiale, e riflettere che l’essere umano non è solamente materia.
Jung definiva la coscienza come la manifestazione invisibile dell’anima, quando si ” lavora” sulla propria coscienza si sta in qualche modo portando in superficie la propria anima.
Non significa dover credere in una Divinità qualora la propria cultura, educazione e convinzione nega, a priori, questa condizione.
Significa però comprendere che l’essere umano non è solamente una macchina.
Daniela Abravanel, laureata in Filosofia, counselor e terapeuta familiare, è stata allieva di grandi maestri della tradizione ebraica fra cui rav Adin Steinsaltz.
Ha svolto per anni ricerche sul tema della guarigione, trovando interessanti similitudini tra la tradizione medica dell’ebraismo, che insegna come la malattia viene affrontata come un problema dell’anima, e le antiche culture sciamaniche che, partendo dalla stessa convinzione, utilizzano ancora oggi erbe e piante per alleviare i sintomi della malattia.
Termini come salute e malattia, essendo legati, devono essere pronunciati al singolare, ed hanno a che fare con lo stato d’animo dell’individuo, nel suo complesso, e non a organi specifici.
Sotto questo punto di vista, come insegnano approcci antichi, la malattia deve essere vista come una prova da superare, anche difficile e dolorosa ma, allo stesso tempo, come un percorso per scavare dentro se stessi, e guardare, in questo viaggio, l’aspetto nascosto presente in ogni persona.
Lo si chiami come si vuole, coscienza, anima, parte divina. Non ha importanza il nome, ma il concetto che deve essere compreso.
Lo sbaglio colossale sta nel mettere in guerra l’approccio ufficiale della medicina attuale che cura prevalentemente il sintomo, e saperi antichi che guardano alla persona come un’insieme di aspetti nei quali quello materiale, forse, non è nemmeno quello più importante.
Nessun veto quindi contro il farmaco, ma l’invito a fare attenzione anche alla propria coscienza e anima che dir si voglia.
“Disse la vecchia guaritrice dell’anima:
Non fa male la schiena, fa male il carico.
Non fanno male gli occhi, fa male l’ingiustizia.
Non fa male la testa, fanno male i pensieri.”
(Ada Luz Marquez)