Allontanate dalla vostra vita chi critica e giudica sempre – È interiormente povero

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By Deborah Doca

Chi è capace solo di criticare la vostra vita e si erge puntualmente come giudice, va allontanato, perché dimostra solo povertà interiore.

“Sono poche le persone che pensano, però tutte vogliono giudicare.”

Non c’è frase migliore per iniziare questa riflessione sulla tendenza continua alla critica e al giudizio presente, mai come ora, in maniera rilevante in ogni momento od occasione della vita di chiunque.

Sono sempre più numerose le persone che, anzichè confrontarsi, dibattere, ricorrono ad atteggiamenti fondati sulla critica, sulla sottolineatura degli errori, sull’individuazione continua di presunti responsabili o capri espiatori per le proprie disavventure ed insuccessi.

Chiaro segnale di una mancanza di obiettività, ma anche di una forma di prepotenza psicologica sempre più di moda.

Basta guardare un dibattito televisivo, o leggere commenti e post sui social network per capire come questo atteggiamento sia diventato una sorta di abito mentale in grado di far degenerare un confronto di idee in rissa, occultare sino all’estremo la veridicità di una tesi, portare l’interlocutore in uno stato di confusione per meglio ottenere un personale vantaggio.

Dire che questo tipo di persona sia un soggetto con una bassa autostima è scontato, che chi non ha alcuna idea su un determinato argomento riuscendo solo a criticare per mascherare la propria pochezza altrettanto scontato.

Occorre però porre un argine, perchè la critica continua ed il giudizio producono anche un clima pesante, ammorbano l’aria di negatività e sfiducia riguardo la possibilità di trovare soluzioni ed alternative, bloccando in definitiva la voglia di ricerca e di innovazione.ù

Come insegna una branca della psicologia comportamentale la crtica e la denigrazione sono in realtà una grande occasione di evoluzione e crescita personale.

Se infatti da un lato le critiche dimostrano e sottolineano l’altrui coraggio e capacità di inventiva, dall’altro insegnano anche a chi le subisce quello che alcuni maestri del pensiero orientale chiamano processo di disidentificazione.

La capacità di non rimanere avvinghiati a se stessi ed alle proprie reazioni emotive, anche comprensibili peraltro, imparando a lasciare che sia come uno stato di flusso quello che si può dire, pensare, scrivere.

Una sorta di distacco rimanendo se stessi e non rinunciando alla propria convinzione ed alla propria opinione.

Nel saggio Anatomia della coscienza quantica l’autrice esemplifica il concetto ricorrendo ad un antico detto sanscrito ” Tat tvam asi “,ovvero quello che tu sei, prima di un titolo, di una qualità, di un errore e, ovviamente, di una critica o di un giudizio.

Idea simile, per comprendere il proprio valore e non cedere di fronte al potere distruttivo della critica e della denigrazione, alla famosa frase della poesia di Kipling ” se riesci, incontrando il successo o la sconfitta a trattare questi due impostori allo stesso modo..”

Così come possono essere pericolose le false lusinghe, altrettanto occorre essere capaci di non farsi condizionare dal giudizio e dalla critica.

Riuscire quindi a non farsi condizionare, ma anche a non farsi ferire dalle critiche fine a se stesse, è un traguardo importante che deve essere raggiunto da ogni persona che ricerchi la voglia di mettersi in gioco e di provare a percorrere sentieri poco battuti.