Psicologia

Abbracciare, confortare e consolare non significa viziare, ma educare

Publicato da
Deborah Doca

Abbracciare i bambini, consolarli, confortarli, non significa viziarli, ma educarli.

Si discute tanto sull’educazione dei bambini e sul rischio, spesso presente, di viziare i più piccoli assecondando le loro emozioni.

Occorre però fare una precisazione:
viziare non ha nulla a che fare con il confort, la cura dei bisogni, il conforto dalle paure o il nutrimento emotivo con abbracci o carezze.

Chi ignora il malessere psicologico, il disagio emotivo, riempiendo magari i figli con l’ennesimo regalo, non ha la minima conoscenza della mente dei bambini.

Essi non hanno la malizia di chiedere aiuto o attenzione per ricevere la ricompensa sotto forma dell’ennesimo desiderio, ma hanno bisogno di ben altro.

Uno studio interessante sull’intelligenza emotiva ha mostrato che ciò che la maggior parte dei bambini sperimenta durante il giorno, è il dolore psicologico. Molto più del dolore fisico.

È indubbiamente un dettaglio che vale la pena di prendere in considerazione:
la sofferenza emotiva dei nostri piccoli ha a che fare con fattori come la fame, la paura o la sensazione di insicurezza.

Sono sofferenze che ogni bambino dimostra secondo il proprio carattere e secondo la situazione che vive e percepisce, ma quello che è importante capire, oltre il modo di chiedere aiuto e attenzioni, è che dare sostegno al bambino non significa viziarlo, ma prendersi cura dei suoi bisogni più importanti.

Consolare, l’arte di comprendere i bisogni.

Se un nostro caro piange, non lo lasciamo solo, magari in un angolo, sino a quando non smette.

E lo stesso va fatto con i bambini.
Quella (pseudo) cultura che sollecita una certa intolleranza nel prendere in braccio il piccolo, equivale ad ignorare il pianto di un adulto e dirgli, un po’ distrattamente ” fatti tuoi”.

Così come, ripetere ad un bimbo piccolo, magari con tono alterato, di smetterla o ricordargli che non accadrà nulla, non equivale al potere del contatto fisico, a come, con esso, il bambino percepisce emozioni e sicurezza in grado di calmarlo e rassicurarlo.

Spesso, in situazioni come quella appena descritta, cioè con un bimbo che piange disperato, si sono sentire esclamazioni tipo ” non bisogna cedere”, oppure, qualora la nonna intervenga, ” hai rovinato tutto”.
Come se quel tipo di manifestazione fosse sempre o solo un capriccio, e non l’espressione di un dolore.

Occorre allora sapere, come spiegato nella ricerca, che le conseguenze del pianto prolungato e non fermato portano effetti indesiderati .

Dal punto di vista neurologico, le conseguenze sono lo stress e un alto livello di cortisolo che altera la chimica dei neurotrasmettitori, intensificando la paura e intensificando la sensazione di disagio.

Abbracciare e confortare è la migliore risposta e i più piccoli soprattutto, hanno bisogno di questo contatto al pari del bisogno di cibo.

Un bambino lasciato a piangere svilupperà automaticamente un senso di abbandono e di ostilità nei confronti del mondo, che manifesterà in seguito con atteggiamenti aggressivi e dimostrando la stessa poca sensibilità.

L’educazione emotiva inizia dal primo giorno in cui lasciamo il nostro bambino nella culla e non si deve dimenticare che il primo ancoraggio emotivo ha origine alla nascita.

Questa impronta è ciò che conferisce sicurezza e protezione e non può essere lasciata per strada in nome di un’idea di sviluppo che non ha conferme sia scientifiche che psicologiche.

Il compito di comprendere le emozioni e lavorarle, è qualcosa che richiede pazienza e intuizione, qualcosa che non dovremmo mai trascurare “solo perché sono piccoli”.

Le piccole cose di oggi possono essere trasformate in grandi abissi domani e per questo motivo, è necessario prestare attenzione , dar loro da mangiare emozioni positive, mettendo in pratica l’arte del benessere.