Basta una carezza, un briciolo di autentica attenzione per spogliare l’anima dalla sua corazza e per vederla brillare in tutta la sua luce.
Chiunque nella vita sperimenta la sofferenza, il disagio, la solitudine.
Per i motivi più svariati e collegati non solo all’idea che si ha del mondo e della vita, ma anche alla propria sensibilità, al fatto di non lasciarsi scivolare tutto addosso ma, al contrario, vivendo con impegno e passione.
Arriva però un momento in cui, soprattutto come risposta di protezione e di allontanamento della sofferenza, che una persona decida di indossare la corazza.
Perchè i dolori,quelli interiori, quelli dell’anima sono laceranti, e si decide di porvi uno schermo, una barriera.
Il mondo è di chi non sente. La condizione essenziale per essere un uomo pratico è la mancanza di sensibilità.
(Fernando Pessoa)
Questa citazione riassume bene il nocciolo della questione. Descrive, con poche parole, quello che oggi conta e cioè essere pratici, mettere al primo posto il vantaggio personale e materiale.
Psicologi, esperti descrivono la sensibilità e la sofferenza come l’incapacità personale ad affrontare la vita.
Sicuramente, ed occorre dirlo, non è che la condizione dell’essere umano sia mai stata semplice, non è questa una sventura capitata da pochi anni.
Anzi, se leggessimo qualche libro di storia in più o parlassimo con qualche arzillo vecchietto delle condizioni di vita del secolo scorso, magari quelle a ridosso della seconda guerra mondiale, ci accorgeremmo che la vita concreta, la quotidianità, era molto più difficile per non dire precaria.
Quello che è avvenuto, specie nel finale del secolo scorso, è stato un cambio di mentalità.
La felicità, la bellezza, il successo sembravano decretati per legge ma, soprattutto, sono diventate le condizioni essenziali, quelle in base alle quali ci si sente inseriti, accettati.
E se, per un accidente qualcosa va storto, ecco che viene minata la fiducia di ogni individuo e, con essa, ne soffre la propria sensibilità.
La sensibilità non è donna, la sensibilità è umana. Quando la trovi in un uomo diventa poesia.
(Alda Merini)
Diciamo allora che il problema non sono tanto le battaglie e, con esse, le inevitabili cicatrici che ognuno di noi rimedia nel suo percorso, quanto quello che si diceva poco sopra: i soldi in banca superano la gentilezza di un abbraccio, il suv di ultima generazione annienta la meraviglia di ammirare un tramonto.
E così, coloro che non si piegano alle mode, a volte faticano a trovare le conferme, a sentirsi accettati.
Succede allora che, soprattutto per evitare colpi bassi, ci si metta una corazza.
Una protezione per evitare di continuare a soffrire.
Cambia il modo di relazionarsi, cambiano i cosiddetti valori di riferimento, semplicemente ci si adegua al flusso dominante.
Questa corazze però, se riparano da improvvise delusioni, finiscono per oscurare la persona che le indossa.
Diventando apparentemente forti, quasi cinici, si decreta, di fatto, la vittoria di ciò che sino a qualche tempo prima feriva, lasciava l’amaro in bocca.
Indossare la corazza non significa infatti combattere come un cavaliere medievale il ” male del mondo”, quanto di assoggettarvisi.
Nel tentativo, comprensibile, di proteggersi, si finisce di dimenticare quel lato più umano, ed anche vulnerabile, di se stessi, e rinchiudersi dentro una protezione che non cambia, di fatto, lo stato delle cose.
Se ci pensiamo sino in fondo, capita quando ci relazioniamo con una persona che si è ” corazzata” , e le si dimostra empatia e sentimento, il suo sguardo sembra ritrovare vigore, come incredula di fronte a tanta attenzione.
Il consiglio, allora, non è quello di dimenticare se stessi e le proprie emozioni, quanto di ritrovare ancora più energie e motivazioni per non sentirsi sopraffatti e dimostrare al mondo che si è migliori anche con qualche ammaccatura nell’anima.