L’empatia è un dono prezioso e chi lo riceve è un essere umano straordinario. Quasi un supereroe.
Film, romanzi, parlano spesso di superuomini, o superdonne, che hanno in comune una caratteristica: i super – poteri.
E, grazie a questi, riescono a portare a termine imprese eccezionali, salvano vite umane in condizioni molto critiche, riescono laddove, quello che chiamiamo comune mortale, rischierebbe di fallire miseramente..!
Usciti dal cinema o chiuso il libro ognuno di noi cerca di capire in cosa consistano questi poteri, e dopo qualche tentativo, con un briciolo di sana invidia, si lascia perdere e si torna, tutti, alla nostra normalità.
In realtà ognuno di noi possiede un super – potere.
Basta rifletterci un attimo, capire di cosa si tratta, e lavorarci un poco sopra per affinarlo e non lasciarlo languire dentro di noi, presi come sempre da vite sempre più frenetiche, disordinate e costantemente di corsa. Si chiama empatia!
Il termine deriva dal greco, en pathos, e significa semplicemente ” sentire dentro”.
Consiste fondamentalmente nel lasciare, per qualche istante, da parte il proprio ego e riuscire a comprendere il prossimo, i suoi pensieri, i sentimenti, le angosce, i punti di vista.
Sotto il termine di empatia, e sulle sue applicazioni in campo medico, psicologico, nel lavoro, sono state scritte migliaia di pagine che, sempre, più, diventano manuali di comportamento e di metodo per chi, appunto, svolge certe professioni.
Nell’uso comune, empatia è l’attitudine invece ad offrire la propria attenzione per un’altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali.
Il contrario quindi dell’egoismo, della chiusura, del mettere se stessi sempre e comunque in cima alla priorità delle nostre giornate, finendo per non vedere o non percepire non solo gli altri, ma anche situazioni che, prima o poi, toccheranno anche la nostra vita.
Pensiamo all’ambiente, alla salvaguardia della natura.
Spesso viviamo questo tema come se non dovesse essere un affare nostro, un nostro impegno, anche nel proprio piccolo.
E quindi non se ne assume la porzione di responsabilità, si delega sempre, si lascia andare, salvo poi rimanere allibiti ed attoniti quando la natura presenta il conto.
“Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà.”
È magnifica questa frase, perchè raccoglie il senso più vero e profondo dell’empatia.
Mettere a tacere, non solo concretamente, se stessi per riuscire a diventare più attenti a quello che ci circonda, a ciò che l’ambiente nel quale viviamo ci comunica. Ad osservare, capire, oltre che a dire la nostra.
La domanda che sorge spontanea è: ma questa empatia, la possediamo tutti? La risposta è si.
La struttura cerebrale in cui la neuroscienza colloca la nostra empatia si trova in un punto situato tra il lobo parietale, quello temporale e quello frontale.
Grazie all’attività di questi neuroni siamo nella facoltà di accantonare i nostri pensieri e le nostre emozioni per meglio percepire quelle altrui.
Perche, quindi, non la utilizziamo a dovere? Le risposte si sprecano, ma volendo riassumere i concetti sicuramente la mentalità, i valori, lo stile di vita cui siamo abituati, portano a non avere tempo e capacità di osservazione.
Se l’io viene prima di qualunque altre cosa, è difficile fermarsi un attimo a fare attenzione, voler capire ciò che un’altra persona ha da dirci.
Perchè si usa dire, ed è vero, che i bambini mostrano più empatia?
Semplicemente per un fatto: non conoscono ancora, o comunque in maniera molto ridotta il potere, spesso negativo, del giudizio e del pregiudizio. Quella condizione che ci tiene alla larga, che alza muri, steccati.
Sarebbe opportuno rifletterci a fondo. Non credete?