Saper tacere è un’arte, una conquista, una dote straordinaria.
Quando il silenzio Il Mahatma Gandhi, un uomo che fece della persuasione la ragione della sua vita, ebbe a dire ” Se urli tutti ti sentono, se bisbigli solo chi è vicino, ma se stai in silenzio, solo chi ti ama può capirti”.
Stupenda frase che raccoglie il senso di questo articolo, dedicato al silenzio.
Siamo sommersi dai rumori, anche quelli che non ci rompono i timpani, ma si insinuano sottili nella nostre giornate.
Frasi, musiche, radio, bisbigli, è un tutt’uno, e quindi non c’è da meravigliarsi se abbiamo perso la capacità di ascoltare il silenzio e apprezzarne i contenuti.
Sarà per questo che quando siamo in presenza di qualcuno abbiamo paura del silenzio, non riusciamo a non sommergerci di parole, spesso senza senso e scollegate tra loro, unicamente tirate fuori per riempire un vuoto che spaventa.
E pensare che non ci sarebbe niente di più intenso che tenersi per mano e guardare un tramonto, o passeggiare abbracciati sopra una distesa di foglie in autunno. Troppe volte non riusciamo più a farlo.
Wittgenstein è stato il precursore contemporaneo della riflessione ontologica sulla condizione del linguaggio, e del silenzio.
E siccome il linguaggio siamo noi, per questo tentiamo, a volte disperatamente, di riempire nostri vuoti e nostre paure con qualcosa, non sappiamo più essere essenziali, andare al cuore delle situazioni.
Ed abbiamo quindi bisogno di caricare, ricamare, a volte anche sviare, pur di non puntare all’essenza di qualcosa.
In natura non accade lo stesso, basta osservare i comportamenti di molti animali per rendersi conto che, pur privati della parola, vivono una ricca vita di relazioni senza tanto frastuono.
La parola è uno strumento meraviglioso, se utilizzato a proposito.
Non come oggi, dove la maggior parte del linguaggio, quando non formato da espressioni di un qualche slang tribale, viene usato per ottenere qualcosa, ammaliare, tentare di influenzare.
Fece scalpore il racconto di un capo di governo che, andando a trovare un contadino che risiedeva in una baita nei pressi delle coste norvegesi, era solito celebrare quell’ evento con un sano bicchiere di acquavite.
La condivisione di quel rito suggellava la loro amicizia, e quando un giorno si lasciò scappare ” alla nostra salute” l’altro lo gelo’ rispondendo: “sei venuto per bere un bicchiere o per dire delle sciocchezze?”
Per capire quanto stiamo dicendo occorrerebbe osservare i bambini, anche quando non sono soli, ma intenti a giocare.
Parlano quando necessario, i loro gesti, i loro sguardi, riempiono l’atmosfera e sanno dare a questi tempi importanza e valore.
Probabilmente perché ancora puri, ancora non inquinati dai rumori caotici, ancora vicini ad un’epoca nella quale, pur non parlando, sapevano comunicare benissimo!
La capacità di un bambino di utilizzare quello che viene chiamato linguaggio non verbale è eccezionale.
La parola è un dono e deve essere utilizzata per dare ancora più significato ad un pensiero e ad un sentimento.
Non venire sprecata in mille espressioni che, molte volte, non significano nulla. Imparare a dosare, sceglierle, ricercarle é un modo per conferire maggior valore al nostro dialogo.
E se questo non sempre ci è possibile, il suggerimento migliore, come recitava il titolo di un brano che ha fatto la storia, è quello di ascoltare “the sound of silence”, il suono del silenzio!