Le carezze emotive: il più importante nutrimento per l’anima

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By Deborah Doca

Aristotele diceva che educare la mente, senza educare il cuore, significa non educare affatto. L’antico filosofo sicuramente non conosceva il termine di carezza emotiva, ma ne comprendeva il senso, il valore enorme che questo atto significa.

Quando parliamo di carezza emotiva non ci si riferisce tanto al gesto della carezza, bensì all’atteggiamento che si dimostra ad una persona. Uno sguardo, una frase, un’attenzione che conferisce forza alla nostra relazione.

Eric Berme, il medico e famoso psichiatra padre dell’analisi transazionale, quella disciplina da lui pensata e divulgata negli anni ’50, fondata sul valore delle relazioni tra le persone, definì la carezza emotiva la base del riconoscimento tra gli individui.

“Se è vero – sosteneva il profugo polacco emigrato con la famiglia negli Stati Uniti – che le cicatrici insegnano, questo può dirsi anche per quegli atteggiamenti che lasciano segni positivi nel cuore e nella psiche delle persone.”

Oggi viviamo un’epoca avara di queste carezze. Relazioni basate sulla ricerca di utilità, vantaggi, apprezzamenti futili e qualche volta, anzi spesso, rozzi.

Fotografie di un mondo basato sul successo e l’egoismo, sul tornaconto e non sullo scambio disinteressato.

Berme sosteneva che l’atto di una carezza emotiva non ha bisogno del contatto fisico. Deve toccare corde emozionali e psicologiche, dare valore alla persona e citava, come esempi, la fiducia che può infondere nei collaboratori, negli allievi.

Un balsamo sociale capace di produrre risultati inaspettati.

L’enorme valore motivazionale di una parola, di un incoraggiamento ha effetti inaspettati, produce empatia, attiva il desiderio di mostrare il meglio di sè.

Se questo vale per ogni persona è assolutamente indispensabile ai bambini, sin dalle loro prime apparizioni nel mondo extra familiare.

Sono indispensabili per rinforzare la loro auto-stima, evitano frustrazioni, isolamento, insicurezza.

Il ruolo oggi degli educatori, è fondamentale in questo ambito, a maggior ragione in un contesto che tende, anche nei piccoli, a riconoscere solo il risultato.

Interessante a questo riguardo il parere di Claude Steiner nel suo celebre ” L’educazione dei figli”, nel quale l’autore esamina non solo il mondo dei più piccoli, ma anche coloro che hanno smesso di accarezzare la loro anima.

Persone, e sono sempre di più, che hanno toccato bassi livelli di auto-stima, che sono scivolate nel loro cammino e non trovando un appiglio interiore hanno dimenticato di volere bene anche a se stessi.

Un atteggiamento chiamato di ” scarsità” che non chiede e non offre.

Chiudersi e rinunciare, equivale a non fare spazio a comportamenti gratuiti, significa decretare il successo dei numeri e non delle persone, mentre proprio nei momenti di crisi si dovrebbe spargere a piene mani l’opposto: la gratuità di un gesto e di un sorriso.

Il valore di essi non è decretabile a priori, ma è capace di avere un effetto enorme a livello psicologico ed esistenziale, a fare sentire di nuovo un individuo importante per se stesso e per la società.

“È un carburante pulito, che non inquina”, diceva ridendo Berme.

Quello di cui bisogna fare attenzione è quando questo atteggiamento nasconde qualcosa, quando viene manifestato da persone che in cambio chiedono qualcosa.

Una forma sottile di manipolazione che, con l’esplosione dei social network e delle relazioni virtuali, si nasconde tra le maglie di rapporti a distanza e senza una conoscenza diretta.

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